
Ricerca Unipd e UPenn: cecità nei cani e ruolo della mutazione nel gene gtpbp2
11.04.2025
È stato pubblicato su «Scientific Reports» lo studio congiunto dell’Università di Padova e della University of Pennsylvania (Leonardo Murgiano, Jessica K Niggel, Eylem Emek Akyürek, Roberta Sacchetto & Gustavo D. Aguirre) che ha identificato una nuova variante associata all’atrofia progressiva della retina nei cani. La causa genetica della cecità si deve a una mutazione in una regione del gene gtpbp2 che causa la perdita di un amminoacido nella proteina da esso codificata, la GTP binding protein 2 (GTPBP2), presente in diversi tessuti, tra cui la retina.
Negli esseri viventi, uomo compreso, la visione ha inizio nella retina dove gli strati cellulari situati nella parte posteriore dell’occhio catturano la luce e la trasformano in segnali elettrici. Questi ultimi sono inviati al cervello e creano le immagini visive percepite. Interruzioni di questo percorso, spesso causate da malattie ereditarie della retina (definite IRD), possono provocare vari disturbi della vista, fino alla cecità.
Dal 1989 il laboratorio del professor Gustavo D. Aguirre dell’Università della Pennsylvania è punto di riferimento per le organizzazioni di cani guida e ha l’obiettivo di trovare e sviluppare test diagnostici per individuare potenziali mutazioni che causano malattie ereditarie della retina nel cane. Recentemente, una fondazione americana che alleva cani da assistenza per ipovedenti ha portato all’attenzione del laboratorio tre cuccioli di Labrador retriever affetti da atrofia retinica progressiva, la classificazione più comune delle IRD nei cani.
Nei tre cuccioli, Aguirre e il collega Leonardo Murgiano sempre dell’Università della Pennsylvania hanno identificato una nuova variante associata all’atrofia progressiva della retina. I ricercatori hanno rilevato una mutazione in una regione del gene gtpbp2 che causa la perdita di un amminoacido della proteina GTPBP2 presente in diversi tessuti tra cui la retina canina. Cosa comporta la perdita di questo amminoacido sulla proteina GTPBP2?
«Io e Eylem Emek Akyürek, ricercatrice nel mio laboratorio – spiega Roberta Sacchetto, professoressa del Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell'Università di Padova che ha firmato la ricerca pubblicata – abbiamo riprodotto la proteina GTPBP2 nelle forme mutata e sana e le abbiamo replicate separatamente in un modello cellulare. Abbiamo notato che la proteina mutata cambia drammaticamente la sua localizzazione nelle cellule e si accumula in maniera anomala rispetto al modello cellulare sano. Su uno studio di 670 Labrador retriever (91 dello stesso allevamento dei tre iniziali e 569 di una popolazione americana) si sono identificati 16 portatori della mutazione e tutti appartenenti all’allevamento da cui è partito lo studio. Sebbene sia una mutazione rara, la perdita di un amminoacido della proteina GTPBP2 – continua Sacchetto che da più di 10 anni si occupa di malattie rare – ha un effetto probabilmente sulla sua localizzazione cellulare».
Mutazioni del gene GTPBP2 sono state evidenziate anche nell’uomo: esse sono associate alla sindrome di Jaberi-Elahi, una patologia rara caratterizzata anche da anomalie a carico della retina, ma soprattutto da alterazione dello sviluppo intellettivo e anomalie neurologiche, mentre nel cane restano limitate alla sola degenerazione retinica e alla cecità. «Quella che abbiamo riportato nella ricerca è una variante che sembra essere meno grave nei cani rispetto a quella riscontrata negli esseri umani, forse ciò è dovuto al fatto che si verifica in una regione diversa della proteina, più vicina alla sua parte terminale – spiega Sacchetto dell’Università di Padova».
«Ho già osservato questo fenomeno in geni attribuiti a sindromi: non tutte le mutazioni in quei geni portano a sindromi – conferma Murgiano della University of Pennsylvania –. I fenotipi possono essere flessibili e quello che abbiamo studiato è un esempio di fenotipo flessibile. Ciò potrebbe avere rilevanza nel panorama della genetica medica generale».
«I cani oggetto dello studio, pur presentando una mutazione sullo stesso gene, non hanno mostrato altri sintomi oltre alla degenerazione retinica e alla cecità – conclude Roberta Sacchetto –. Il secondo step della ricerca sarà quindi cercare di comprendere le differenze tra i pazienti umani e il cane. Resta da chiarire il motivo per il quale la GTPBP2 si accumula e forma grossi ammassi nelle cellule. La comprensione del meccanismo patogenetico di una malattia è infatti il primo passaggio obbligato verso l’individuazione di una possibile strategia farmacologica».